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Archivio di Stato di Lecce

2022

“Era questo forse nella Provincia il bosco più vasto e vario per essenze arboree, ma oramai non rimangono più di arbustato e di ceduo se non poche moggia a nord-ovest verso Supersano; tutto il resto è ridotto a macchia cavalcante od a terreni coltivati a fichi, vigne e cereali”.

Giacomo Arditi denunciava così, nel 1879, l’inesorabile declino del Belvedere, bosco plurimillenario, originariamente esteso per 7.000 ettari su una superficie complessiva di oltre 32 km. Un sito distintosi a lungo per un ricchissimo ecosistema, che comprendeva peri, prugni e meli selvatici, mirti, viburni, alloro e rosmarino, olmi, lecci, castagni e frassini, ma anche paludi e stagni, una grande varietà di volatili e di altri animali selvatici.

Già di proprietà dei Castriota, baroni di Parabita, nel XV secolo questo immenso polmone verde passò ai principi Gallone di Tricase ai quali rimase sino al 1851, anno in cui fu eseguita un’ordinanza di divisione tra i quindici comuni che vi avevano esercitato gli usi civici e che, per secoli, dal bosco avevano tratto sussistenza.

Le complesse vicende associate alla questione demaniale del Belvedere, iniziate in età francese con le leggi di abolizione della feudalità del 1806, portarono a diverse operazioni di ricognizione e frazionamento, quindi alla redazione di un cospicuo materiale cartografico. Lo scorporamento delle parti destinate alle singole collettività diede vita a rappresentazioni che ci restituiscono, oggi, alcuni elementi identificativi del territorio di metà Ottocento.

In questa topografia, realizzata il 30 ottobre del 1852 a firma dell’architetto Giuseppe Magliola e dei periti Giovanni Riccio e Gaetano Buja, è ricostruito uno scenario d’insieme. L’area del bosco fu ripartita in terreni di tre classi e gli appezzamenti di maggiori dimensioni furono assegnati a Scorrano, Supersano e Nociglia.

Il lungo iter giudiziario relativo alla riassegnazione dell’area del Belvedere produsse importanti ripercussioni sul panorama del basso Salento. In pochi decenni all’antico biosistema si sostituirono infatti colture agrarie che stravolsero velocemente l’identità del paesaggio locale.

Consapevoli di questo processo irreversibile furono gli osservatori contemporanei. Alla già citata denuncia di Arditi si unì, nel 1884, quella di Cosimo De Giorgi il quale, nei suoi Bozzetti di viaggio, notò come il vecchio bosco fosse già “per quattro quinti distrutto”. Alte “boscaglie di ulivo” avevano rimpiazzato del tutto la flora preesistente, mentre le “ultime monumentali querce” gridavano “vendetta al cielo con le loro altissime braccia”.
 



Ultimo aggiornamento: 26/09/2024